Il Tema in Discussione
La questione è se sia valido o meno il patto parasociale, di durata quinquennale, relativo alla nomina del presidente, dei componenti il Cda e dei membri del collegio sindacale di una Spa, stipulato dai coniugi nell’ambito di accordi di separazione personale, finalizzato, tra l’altro, alla divisione delle azioni della Spa stessa, le quali durante il matrimonio erano state assoggettate al regime di comunione legale dei beni.

Come vedremo, la Corte di Cassazione – con una decisione di estremo interesse, anche perché priva di precedenti – si è pronunciata per la validità del patto.

Il Caso Pratico
Due coniugi avevano stipulato un accordo di separazione personale nel quale si erano accordati circa la divisione delle azioni di una Spa, già vincolate in regime di comunione legale, stabilendo che alla moglie fosse attribuita la proprietà esclusiva delle azioni rappresentative del 45 % del capitale sociale e al marito la proprietà esclusiva delle azioni rappresentative del 50 % del capitale sociale.

I coniugi avevano, inoltre, stipulato un patto, riportato nel verbale di separazione oggetto di omologa da parte del Tribunale, nel quale avevano regolato la materia delle nomine degli organi sociali: in particolare l’accordo prevedeva che il Cda della spa fosse composto da cinque componenti e che al marito spettasse il potere di autonominarsi presidente del Cda, nonché il potere di rappresentare la società e di esercitare in via delegata i poteri di ordinaria amministrazione, nonché, entro dati limiti, quelli di straordinaria amministrazione.

Era poi accaduto che la Spa si era trovata alle prese con un’operazione di aumento del capitale sociale, in ragione delle proprie esigenze imprenditoriali.

La ex moglie, avendo integralmente sottoscritto sia la quota di aumento ad essa spettante, sia quella spettante in opzione all’ex marito (da quest’ultimo non opzionata), era divenuta titolare di oltre il 97 % del capitale sociale.

La stessa si era poi rivolta al giudice per sentir dichiarare la nullità del patto parasociale, poiché non ritenuto meritevole di tutela, illecito e stipulato in violazione del principio dell’esclusività della funzione gestoria, in base al quale è riservato al Cda il compito di scegliere tra i propri componenti il presidente, ove non nominato dall’assemblea.

In sostanza, secondo la ricorrente, l’intervenuto mutamento delle quote di partecipazione al capitale sociale della Spa avrebbe senz’altro comportato la cessazione degli effetti del patto parasociale: a seguito dell’aumento di capitale sociale era, infatti, venuto meno l’assetto proprietario contraddistinto (fino a quel momento) da una partecipazione quasi paritaria dei parasoci al capitale sociale e, quindi, era venuta meno una partecipazione pressochè paritaria al rischio d’impresa.

Cosicchè la situazione sopraggiunta non avrebbe giustificato più la costruzione, a mezzo della convenzione parasociale, di un regime di controllo congiunto.

Al contrario, la permanenza del patto parasociale avrebbe violato il principio costituzionale di tutela della proprietà privata.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 18138 del 10 luglio 2018)
La Cassazione ha rigettato il ricorso della ex moglie osservando che il patto parasociale oggetto del giudizio, avendo natura temporanea (quinquennale), non viola il principio che impedisce lo svuotamento dei poteri dell’assemblea poiché non determina la “deprivazione dell’effettivo esercizio dei poteri assembleari”.

Detto accordo parasociale, preordinato a prevedere “un regime di controllo congiunto della società da parte dei due coniugi separati”, dato che riguarda solo il “tema delle cariche sociali”, è stato ritenuto, appunto, dalla Suprema Corte inidoneo a determinare “lo svuotamento dei poteri dell’assemblea”.

Si legge nella motivazione della sentenza de qua :

Il patto parasociale stretto tra I.D. e H.S. viene posto in essere nel contesto dello scioglimento di una comunione legale tra coniugi avvenuto a seguito della loro separazione personale.

Esso fa parte, correlativamente, degli accordi di divisione del compendio che all’epoca era in comunione. Lo stesso, dunque, si confronta con una tematica di “assetti proprietari” – e di equilibrio nella divisione – che si manifesta decisamente diversa da quella circoscritta al possesso di una società e in sè stessa assai più ampia, perché assume a proprio perimetro l’intero asse dei beni caduti in comunione. OMISSIS

… è appena il caso di esplicitare che sulla efficienza di un patto parasociale – che trova la sua causa giustificativa nell’ambito degli accordi di divisione del complessivo compendio di una comunione sciolta per separazione personale tra coniugi – non hanno influenza, per sè, le vicende che concernono il successivo svolgimento dell’impresa sociale a cui è relativo, quale, nella specie concreta, l’aumento di capitale verificatosi nel luglio del 2012.
Contro la permanente efficacia del patto in questione neppure possono valere, d’altro canto, gli ulteriori rilievi che la ricorrente muove adducendo la mancanza di meritevolezza, in quanto tale (ovvero a prescindere da ogni altro profilo della fattispecie concreta), di un patto parasociale operante tra una maggioranza del 97,30% del capitale sociale e una minoranza del 2,50%. Rilievi che consistono nella violazione: del principio generale che vieta lo svuotamento dei poteri assembleari; del principio di ragionevolezza; del principio di protezione della proprietà privata.

Per accertare, infatti, che la prosecuzione di efficacia del patto parasociale in questione non violi uno dei principi assunti dalla ricorrente si mostra sufficiente la rilevazione dei seguenti tratti che connotano le regole proprie del patto medesimo.

Un primo dato consiste nella temporaneità del medesimo, che viene a fissarsi in una durata quinquennale. Secondo quanto è stato accertato dalla Corte territoriale (il testo della clausola si trova riportato nel ricorso …). In relazione all’ipotesi di eventuali proroghe del patto, cui pure accenna il testo della clausola, la parte finale della norma dell’art. 2341 bis c.c. assicura, d’altro canto, che i patti parasociali a termine, com’è quello presente, possono in ogni caso essere rinnovati solo al tempo della loro scadenza, a seguito di apposita manifestazione di volontà.

Un altro aspetto, da tenere in adeguata considerazione al riguardo, è che il patto in discorso si concentra – per quanto è stato fatto oggetto di discussione tra le parti nell’ambito del presente giudizio – sul solo tema delle cariche sociali, di cui all’art. 2364 c.c., comma 1, n. 2. Sì che non ha in ogni caso luogo discorrere, in proposito, di svuotamento dei poteri dell’assemblea, nè di compressione esorbitante del diritto di proprietà.

Ancor più in particolare è da rilevare, anche a proposito del rispetto del principio di ragionevolezza, che le regole poste dal patto in questione non vengono a incidere sul potere di controllo che sull’agire dell’apparato amministrativo la legge attribuisce all’assemblea dei soci. Come, inter alia, in punto di approvazione del bilancio di esercizio e di potere decisionale circa l’azione di responsabilità verso gli amministratori (di là, dunque, dal tema relativo alla definizione dei limiti di revoca di costoro per giusta causa)”.

 

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