Attraverso questa recentissima giurisprudenza, la Corte di Cassazione risarcisce agli eredi di un ciclista deceduto a causa di un sinistro stradale il c.d. danno terminale o “da lucida agonia”.

La fattispecie
Un ciclista moriva a causa di un sinistro stradale, i suoi eredi agivano in giudizio al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non subiti dalla vittima e patiti dai prossimi congiunti e, tra questi, veniva chiesto anche il danno terminale, essendo la vittima deceduta poche ore dopo il sinistro. Secondo gli eredi infatti, nel lasso di tempo intercorso tra il sinistro ed il decesso, la vittima avrebbe avuto la consapevolezza di dove morire, generando quindi una sofferenza psichica che, come tale, deve essere risarcito agli eredi.

Il Tribunale e la corte di Appello non accordavano la risarcibilità di tale danno, dal momento che, secondo i giudici di merito, il lasso di tempo intercorso, sarebbe stato troppo breve per poter generare un danno risarcibile.

A fronte di tale pronuncia, gli eredi ricorrevano in Cassazione.

Il principio di diritto
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26727 del 23 Ottobre 2018, ha riformato le precedenti pronunce, sul presupposto che la vittima del sinistro è rimasta cosciente per quasi tre ore nella percezione della propria fine imminente come, peraltro, è risultato anche dalla dichiarazione resa da un teste.

Secondo i giudici della Cassazione, quindi, se esiste anche un minimo lasso di tempo nel quale il soggetto è rimasto in vita con la manifesta coscienza della propria morte imminente, deve essere risarcito, anche nel rispetto del diritto alla dignità della persona di cui all’articolo 2 della Costituzione.

Conclusioni
Il danno terminale fino a questa pronuncia, veniva risarcito in presenza di un “apprezzabile lasso di tempo”, ma i giudici ed il legislatore non avevano mai quantificato ed individuato con esattezza questo lasso di tempo per potersi dire apprezzabile e quindi per poter dare luogo a predetta voce di danno, ma, con la pronuncia in esame, la Cassazione detta un principio di individuazione importante: si ha danno terminale se la vittima è stata cosciente della propria morte anche per un lasso brevissimo (una o due ore) ed è provata tale circostanza. Quello che rileva, quindi, non è tanto la quantità del tempo intercorso, ma la sua qualità, occorre infatti che in tale lasso temporale, la vittima sia ben cosciente che sta perdendo la vita.

 

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