Nel momento in cui si addebita una responsabilità medica, la vittima deve fornire la prova che la sua situazione sanitaria, fisica e/o patologia sia peggiorata e deve inoltre dimostrare che vi sia un nesso di causalità tra il comportamento dei sanitari e le conseguenze sulla propria salute.

La fattispecie
Un’azienda ospedaliera di Milano è stata convenuta in giudizio dai genitori di una bambina a suo tempo ricoverata presso la struttura al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla emiparesi destra sofferta dalla figlia, ricondotta dai genitori ad un episodio di cianosi verificatosi il terzo giorno di vita durante la degenza post-natale presso l’ospedale.

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda dei genitori, ritenendo non dimostrato il nesso causale tra l’episodio predetto e il danno sofferto dalla minore.

Tale decisione è stata confermata anche dalla Corte di Appello di Milano, che hanno ritenuto giustificato il rigetto della domanda alla luce delle conclusioni esposte nelle tre relazioni peritali, depositate da due diversi collegi di ausiliari.

Sulla base delle relazioni tecniche, infatti, la Corte di Appello, condividendo le valutazioni del primo Giudice, ha osservato che la mancanza di specifici elementi relativi a ulteriori segni clinici nel periodo trascorso prime dell’accertamento della lesione cerebrale, depone per l’insussistenza di nesso causale tra l’episodio di cianosi  il danno, essendo detta mancanza poco coerente rispetto alla gravità dell’insulto e di conseguenza agli effetti esteriori che esso avrebbe dovuto provocare anche durante quei sei mesi.

Il principio di diritto
I genitori della bambina hanno impugnato la pronuncia davanti alla Corte di Cassazione, lamentandosi delle precedenti sentenze che non avevano riconosciuto il danno biologico permanente patito dalla vittima e della responsabilità dell’azienda ospedaliera, nonché il risarcimento del danno morale subìto dai genitori e ancora il danno esistenziale, il danno da perdita di chances ed il danno patrimoniale sofferti dalla minore.

Secondo i ricorrenti, infatti, in ambito di responsabilità contrattuale come quella sanitaria, una volta che il creditore-danneggiato dia prova della fonte negoziale (il c.d. contratto di spedalità che intercorre tra paziente ed ospedale) o legale del proprio diritto e alleghi l’inadempimento della controparte spetti a quest’ultima dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento.

La Cassazione, dichiarando infondato il motivo, con la sentenza n. 16828 del 2018, richiama il proprio costante orientamento secondo il quale ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

Conclusioni
Secondo tale pronuncia quindi, per la Cassazione, la vittima di malasanità deve provare non solo di aver ricevuto un danno, ma anche che questo derivi indiscutibilmente e senza ombra di dubbio da una condotta responsabile dei sanitari che ebbero a prenderla in cura e quindi, ne consegue che, se al termine dell’istruttoria resti incerta la reale causa del danno, i giudici dovranno ritenere non provato dalla vittima quanto richiesto dalla legge con conseguente rigetto della domanda.

 

© 2016 Studio Legale PSP - PI: 06019040481
Viale Evangelista Torricelli 15 - 50125 Firenze (FI)
Telefoni: 055/229136 - 055/229347 - 055/229058 | Fax: 055/2280605
Admin

OWA