Non si applica in tal caso la prorogatio dei poteri prevista dall’art. 2385 c.c. solo per i casi di dimissioni o scadenza del mandato.

Il Tema in Discussione
Si discute se l’amministratore della Spa che venga revocato dall’incarico perda o meno i poteri gestori.

Come vedremo il Tribunale di Roma si è pronunciato per la perdita di tutti i poteri gestori, rilevando che nei suoi confronti non si applica il regime della proroga dell’incarico (fino alla ricostituzione del consiglio di amministrazione) previsto dall’art. 2385 c.c. solo per i casi di dimissioni o scadenza del mandato.

Il Caso Pratico
Nella fattispecie in oggetto è accaduto che con delibera del dicembre 2017 l’assemblea di una Spa deliberava l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore.

Questi, tuttavia, continuando a svolgere il proprio incarico, nonostante fosse intervenuta la revoca (a seguito della deliberata azione di responsabilità nei suoi confronti e conseguente nomina assembleare del nuovo amministratore unico), convocava una nuova assemblea per l’ottobre 2018.
Tre soci della Spa, allora, si rivolgevano al giudice per ottenere un provvedimento d’urgenza in base all’art.700 c.p.c., diretto a bloccare la seduta e a vietare all’ex amministratore di compiere altri atti di gestione.
Con decreto emesso inaudita altera parte (ex art. 669-sexies, comma 2, c.p.c.) il Tribunale, in accoglimento del ricorso cautelare, sospendeva l’efficacia della convocazione dell’assemblea.
Ciò in quanto, secondo il Tribunale medesimo, la decisione dell’assemblea di iniziare l’azione di responsabilità verso l’amministratore aveva determinato la revoca automatica dall’incarico.

L’ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Specializzata in materia di Imprese, del 13 novembre 2018  (Giudice Dott. Guido Romano)
Secondo il Giudice capitolino, in caso di decadenza dell’amministratore per revoca non si applica la proroga dei poteri che l’art. 2385 c.c. dispone per le ipotesi di dimissioni o di scadenza dalla carica di amministratore.
La revoca, infatti, non rientra in alcuna di queste situazioni, sicché si deve aver riguardo alla disciplina generale prevista, per il caso di cessazione dell’organo gestorio, dall’art. 2386 dello stesso c.c. il cui ultimo comma dispone che, se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, il collegio sindacale deve convocare l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio, e, nel frattempo, «può compiere (…) gli atti di ordinaria amministrazione».

Si legge nel provvedimento de qua : “come correttamente evidenziato da parte ricorrente, deve escludersi che l’amministratore decaduto conservi i poteri gestori in regime di prorogatio e ciò in quanto l’art. 2385 c.c. dispone che tale regime si applichi solo in caso di dimissioni o di scadenza della carica. Al contrario, il caso in esame deve trovare la sua disciplina nel disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 2386 c.c. secondo il quale, se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione. Ebbene, la revoca (ancorché effetto legale dell’adozione della deliberazione autorizzativa dell’azione di responsabilità) dell’amministratore importa una ipotesi di cessazione dell’organo gestorio. Conseguentemente, il legislatore, al fine di evitare un vuoto nella gestione della società, ha previsto che il potere di amministrare – potere limitato alla sola ordinaria amministrazione – passi al collegio sindacale che dovrà, in primo luogo, provvedere alla convocazione dell’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori”.

È dunque illegittimo – si legge sempre nell’ordinanza in commento – il comportamento dell’ex amministratore, che, sebbene decaduto dall’incarico per effetto della revoca, aveva continuato a gestire la Spa convocando l’assemblea dei soci e provvedendo alla revoca di alcuni mandati difensivi.
Inoltre, secondo il Tribunale, ricorreva anche la necessità di intervenire in via d’urgenza (sussistendo, quindi, sia il fumus boni iuris che il periculum in mora), giacché dalla condotta del convenuto è possibile dedurre che, «in difetto dell’adozione del provvedimento inibitorio richiesto, egli continuerà a comportarsi come amministratore della società».
Così il Tribunale, in accoglimento della domanda, ha ordinato al resistente di «astenersi dal compiere atti di amministrazione» e lo ha condannato al pagamento delle spese di lite in favore dei soci ricorrenti.

 

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