Il Tema in Discussione
Ci si domanda se sia valido o meno l’atto con il quale è stata ceduta l’intera azienda di una società a responsabilità limitata stipulato dagli amministratori, peraltro a prezzo irrisorio, senza il consenso dei soci e, quindi, in buona sostanza, usurpando la competenza dei soci stessi, trattandosi di atto di decisiva rilevanza per l’assetto societario.

Il Caso Pratico
Nella fattispecie in oggetto una Srl trasferiva ad altra Srl l’intera propria azienda a fronte di un prezzo irrisorio, nonostante (oltretutto) ingenti debiti per finanziamenti nei confronti di un soggetto avente un diritto d’acquisto sulle quote.

Quest’ultimo, titolare del diritto di voto corrispondente a tante quote della Srl alienante pari all’80% del capitale, impugnava presso il Tribunale di Roma il suddetto contratto in quanto avente ad oggetto un’operazione fraudolenta, e in particolare perché a suo dire realizzata in violazione del disposto dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. che riserva alla esclusiva competenza dei soci la “decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci”.

Ed infatti, l’assemblea, convocata e svoltasi successivamente alla stipula dell’atto, non aveva conformemente deliberato, essendo intervenuta l’astensione del suddetto socio contrario al trasferimento dell’azienda.

La sentenza del Tribunale di Roma, Sez. impresa, del 3 agosto 2018 (Pres. Cardinali – Rel. Romano)
Il Tribunale ha pronunciato la nullità del contratto di cessione dell’azienda quale atto dispositivo stipulato dagli amministratori in violazione dell’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c.

Ciò in quanto la cessione d’azienda, trasformando l’attività dell’impresa cedente da produttiva a finanziaria, ha modificato l’oggetto stabilito nell’atto costitutivo.

Ed infatti il giudice capitolino ha ritenuto che la menzionata disposizione, riservando alla competenza funzionale dei soci le decisioni ivi previste, ponga un limite legale inderogabile ai poteri di rappresentanza degli amministratori.

Aggiunge la sentenza de qua che il difetto del potere rappresentativo rende invalido l’atto di cessione ed è opponibile ai terzi indipendentemente dalla loro buona fede.

Sul punto il giudice romano ha espressamente escluso che il difetto del potere rappresentativo possa costituire causa di annullamento solo su istanza del falso rappresentato (e cioè della società).

Approfondendo l’analisi su questo ultimo aspetto il Tribunale distingue, al riguardo, tra :

  • atto meramente eccedente l’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo
  • atto idoneo a modificare sostanzialmente l’oggetto stesso.

Nel primo caso, l’art. 2475 bis c.c., in deroga alle norme generali sulla rappresentanza (artt. 1398-1399 c.c.), reputa la società vincolata all’atto, sebbene ultra vires, per la tutela del terzo, salvo che questo non versi nelle condizioni per le quali possa essergli sollevata l’exceptio doli, cioè salvo che si provi che il terzo abbia “intenzionalmente agito a danno della società” (ex art. 2475 bis c.c., secondo comma) .

Nel secondo caso, invece, la disciplina dell’art. 2475bis c.c. non può essere invocata e ciò a prescindere dallo stato psicologico del terzo, ma non per questo rivive la disciplina generale della rappresentanza.

Per quest’ultimo caso, pur in mancanza di una regola esplicita dell’ordinamento interno, si deve ritenere, secondo il Tribunale, operante una limitazione legale al potere di rappresentanza e la sanzione che colpisce l’atto modificativo dell’oggetto sociale (e non solo eccedente i relativi limiti) va individuata non già nell’annullabilità del contratto, ma nella sua nullità.

Ciò poichè quando una norma di divieto non pone espressamente la sanzione alla sua violazione, si intende che essa debba essere la nullità ex art. 1418, comma 1, c.c., in quanto principio generale e, quindi, prevista per contrarietà dell’atto a norme imperative.

 

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