Il Tema in Discussione
E’ stata portata all’attenzione della Suprema Corte la questione se l’aumento dell’assegno di mantenimento in favore del figlio nato fuori dal matrimonio sia da calibrare solo tenendo conto del parametro relativo alla rilevante capacità reddituale e patrimoniale del padre, senza tener conto di altri indicatori. E, quindi, se la presenza di consistenti ricchezze del genitore fosse di per sé, a prescindere da tutte le altre valutazioni, sufficiente a far lievitare (addirittura raddoppiare nel caso si specie) l’assegno di mantenimento stesso.

Il caso pratico
La decisione della Suprema Corte qui in commento trae origine dal ricorso di un genitore contro la decisione della Corte di Appello di far lievitare l’assegno di mantenimento in favore del figlio nato fuori dal matrimonio da euro 800, come stabilito dal Tribunale, a euro 1.500 al mese, senza peraltro, come si legge nella sentenza de quafare riferimento alcuno alle attuali e concrete esigenze di vita del minore e senza operare una valutazione comparativa dei redditi dei due coniugi”.

La sentenza n. 25134 del 10 ottobre 2018 della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha in primis rilevato che nella fattispecie in oggetto deve applicarsi il principio di cui all’art. 148 c.c. secondo il quale per determinare i contorni dell’obbligazione di mantenimento dei figli in capo ai genitori si deve tener conto, in misura proporzionale, del reddito e delle risorse economiche di entrambi i genitori, valutate alla stregua di una indagine comparativa.

Ha aggiunto che deve, altresì, tenersi conto del fatto che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall’art. 147 c.c., vincola i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fino a quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Si legge nella sentenza de qua … nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, il giudice di merito debba individuare, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti (Cass. 10/07/2013 n. 17089; Cass. 22/03/2005 n. 6197)”.

Valutazioni da fare in linea con quanto previsto dall’art. 337-ter c.c., trattandosi, nel caso di specie, di figlio nato al di fuori del matrimonio.

I suddetti principi, ad avviso della Corte, non sono stati correttamente applicati dal giudice di secondo grado.

La motivazione della decisione della Suprema Corte
La Cassazione ha, infatti, concluso che: “… nel caso concreto il decreto emesso dalla Corte d’appello non si sia attenuto a tali principi, essendosi il giudice del gravame limitato, per quanto concerne le esigenze del minore, a dedurre – del tutto genericamente, e senza alcun riferimento specifico al caso concreto – l’impossibilità di quantificare ‘con precisione aritmetica … le esigenze di un bambino che viva in ambienti famigliari particolarmente benestanti’, e la conseguente necessità di fare riferimento ad un criterio equitativo;

per quanto attiene poi alle condizioni patrimoniali dei genitori, la Corte si è limitata ad un altrettanto generico ed apodittico riferimento alle ‘oltremodo consistenti risorse reddituali e patrimoniali di (omissis)’ pervenendo – sulla base di questa mera asserzione – alla conclusione di dover reputare ‘congruo rideterminare l’onere in parola in euro 1.500,00 euro mensili’”.

La decisione della Corte d’Appello sul punto deve essere, pertanto, riformata facendo applicazione il nuovo giudice dei principi di diritto suesposti, non potendo disporsi l’aumento dell’assegno di mantenimento in favore del figlio basandosi solo sulla (pur) notevole disponibilità reddituale e patrimoniale del padre, senza guardare alle reali esigenze del minore.

 

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