Il Tema in Discussione
E’ stata portata all’attenzione della Suprema Corte la questione se l’appartamento acquistato da un coniuge, esclusivamente utilizzando denaro derivante da una liberalità di un suo genitore, entri o meno a far parte del regime di comunione legale dei beni (e, quindi, ne benefici anche l’altro coniuge) anche se manchi un atto che rivesta la forma richiesta dalla legge (articolo 782 del cod. civ.) per la validità delle donazioni, e cioè l’atto pubblico stipulato alla presenza di due testimoni.

 Il caso pratico
La controversia oggetto del giudizio e la sentenza appaiono di rilevante interesse poiché consentono di riflettere in merito ad un caso pratico assai frequente, vale a dire l’acquisto di un immobile da parte di un soggetto coniugato, il quale utilizza denaro che i (o il) suoi (suo) genitori (e) gli mettono a disposizione.

Se l’acquirente non è coniugato o se lo è in regime di separazione dei beni, non si pongono problemi.

Se, invece, l’acquirente è coniugato in regime di comunione legale dei beni si verificano (secondo quanto affermato dalla Suprema Corte) due fenomeni:

1) la provvista messa a disposizione dal genitore integra una donazione “indiretta” a favore del figlio (indiretta perchè, in buona sostanza, il genitore pagandone il prezzo dona al figlio l’immobile);

2) l’operatività del regime di comunione legale dei beni provoca l’effetto che qualsiasi acquisto compiuto dai coniugi (insieme o separatamente) durante il matrimonio, entra di regola a far parte del patrimonio soggetto al regime della comunione legale, a prescindere dalla provenienza del denaro impiegato per pagare il prezzo (può trattarsi infatti di denaro appartenente a uno solo dei coniugi, perché già di sua proprietà prima del matrimonio o perché frutto di una donazione o di una successione di cui egli abbia beneficiato durante il matrimonio o perché costituente il provento della sua individuale attività lavorativa).

 L’Ordinanza n. 19537 del 24 luglio 2018 della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha deciso, appunto, il caso originato dal ricorso di un soggetto che, dopo aver acquistato un appartamento pagandone il prezzo con denaro messo a disposizione dalla madre, pretendeva che di tale acquisto non beneficiasse anche il suo coniuge (per effetto dell’operatività del regime di comunione legale dei beni) e, di conseguenza, pretendeva che fosse riconosciuta la sua esclusiva titolarità.

A supporto di tale tesi, non accolta, era che il coniuge dell’acquirente, non avendo concorso al pagamento del prezzo, né con denaro proprio né con denaro fornitogli da altri, avrebbe beneficiato di una donazione effettuata senza il rispetto della forma che la legge richiede per effettuare una donazione.

 La motivazione della decisione della Suprema Corte
E’ vero che il coniuge che beneficia dell’operatività del  regime della comunione legale dei beni è destinatario di una donazione, ma si tratta di una donazione “indiretta”, perché provocata dalle regole della comunione legale, per la cui validità ed efficacia non occorre il rispetto della norma che impone la forma dell’atto pubblico.

Infatti, effettuando un acquisto con denaro di proprietà personale di uno dei coniugi, in quanto derivante dal regalo di un genitore (art. 177 lettera b) del cod. civ.) il coniuge acquirente effettua una liberalità indiretta a favore dell’altro coniuge, poiché la legge (art. 177, lettera a) del cod. civ.) dispone la sottoposizione di quell’acquisto al regime della comunione legale.

 

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