Con tale recentissima pronuncia, la Cassazione ha sostenuto la centralità del ruolo della cartella clinica e del suo valore probatorio nel giudizio riguardante la responsabilità medica e confermando come la responsabilità della sua tenuta sia esclusivamente della struttura sanitaria.

La fattispecie
Nel 2007 i familiari di un paziente defunto avevano citato davanti al Tribunale di Roma, la struttura sanitaria che si adduceva come responsabile della morte del familiare, che era stato sottoposto infatti ad intervento chirurgico per la risoluzione di alcune problematiche cardiache, a seguito del quale, sopraggiunte delle complicazioni, era deceduto. I familiari denunciavano gli errori dei sanitari e la mancata sospensione di una terapia che il malato stava precedentemente seguendo.

La struttura sanitaria aveva a sua volta addebitato la responsabilità della morte del soggetto al chirurgo, il quale si difendeva sostenendo come il decesso del paziente fosse attribuibile alle conseguenze di una infezione nosocomiale che, come tale, era da ricondursi alla esclusiva responsabilità della casa di cura ed all’esecuzione della profilassi antibiotica.

Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Roma accoglieva la domanda dei familiari e condannava la struttura ospedaliera ed il medico al risarcimento dei danni, specificando che questi non avevano assolto l’onere, gravante a loro carico, di produrre la cartella clinica.

La Corte d’Appello modificava parzialmente la sentenza di primo grado provvedendo ad una graduazione della responsabilità della struttura e del chirurgo, precisando che l’infezione nosocomiale che aveva colpito il paziente, benché scaturente dalla responsabilità della struttura clinica, non esonerava da responsabilità il chirurgo. La decisione della Corte non si poteva però basare su quanto annotato nella cartella clinica, dal momento che la stessa era andata smarrita. A questo riguardo nella sentenza d’appello si precisava che l’obbligo della tenuta della cartella era gravante sulla struttura sanitaria e sul medico, ragione per la quale gli attori in appello non avevano assolto l’onere probatorio a loro carico idoneo a liberarli dalla responsabilità.

Il principio di diritto
Il chirurgo, proponeva ricorso per Cassazione al quale resistevano i familiari, che proponevano contro ricorso. Secondo il chirurgo la Corte d’Appello avrebbe confuso l’obbligo di compilazione della cartella, da lui assolto diligentemente, con l’obbligo di tenuta, gravante esclusivamente sulla struttura.

La Cassazione, con sentenza n. 18567/2018, ha sostenuto che in base alla legge vigente, per tutta la durata del ricovero, il responsabile della tenuta e conservazione della cartella clinica è il medico (e più precisamente il responsabile della unità operativa ove è ricoverato il paziente). L’obbligo di questi si esaurisce una volta che, dopo aver provveduto oltre che alla compilazione alla conservazione della cartella, consegna la cartella all’archivio centrale. In questo momento la responsabilità per omessa conservazione della cartella si trasferisce in capo alla Struttura sanitaria, che deve conservarla in luoghi appropriati.

Conclusioni
Quest’obbligo di tenuta e conservazione, è illimitato nel tempo, poiché le cartelle rappresentano un atto ufficiale. In base a ciò, si può sostenere che “il principio di vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella, le cui carenze od omissioni non possono andare a danno del paziente non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente ad essa”. Questo significa, sempre secondo la Corte, che tale principio non può riverberarsi anche contro il medico, in termini di onere della prova. Nonostante questa affermazione la Cassazione ha ritenuto, che comunque fosse sorto in capo al chirurgo l’onere di procurarsi tutta la documentazione idonea a provare la propria posizione. Nel caso in esame, ad esempio, i ricorrenti avrebbero potuto tempestivamente chiedere copia della cartella in questione. La Cassazione, dunque, conferma la sussistenza della responsabilità in capo alla struttura sanitaria della tenuta delle cartelle cliniche ma precisa che questo non fornisce al medico una prova liberatoria della propria condotta soprattutto quando questi avrebbe potuto, con diligenza, costituirsela in modo tempestivo e compiuto.”

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