Il Tema in Discussione
L’art. 540 c.c. sancisce che, in caso di morte di uno dei coniugi, al superstite è riservato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare, se di proprietà del defunto o comune ai coniugi.

Ciò premesso, il tema in discussione è se sia legittimo o meno attribuire a detto diritto di abitazione (sulla casa adibita a residenza familiare) lo stesso valore che avrebbe un diritto di usufrutto.

Vedremo che la risposta della Corte di Cassazione (ordinanza n. 14406 del 5 giugno 2018) è positiva – in una fattispecie su cui non ci sono precedenti – con una decisione, però, che suscita più di una perplessità.

Il caso pratico
Il caso all’esame della Cassazione era quello della divisione giudiziale di una comunione ereditaria nel cui ambito si era dovuto valutare il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite, al fine di comporre gli assegni divisionali spettanti ai comproprietari condividenti.

Alla Cassazione è stato chiesto di censurare la decisione dei giudici di merito sul punto di aver valutato il diritto di abitazione come se fosse un diritto di usufrutto, cioè con valutazione effettuata utilizzando il prospetto di calcolo del valore dell’usufrutto che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, si trova allegato al Dpr 131/1986 (Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta registro).

L’ordinanza della Cassazione n. 14406 del 5 giugno 2018
La Cassazione ritiene che: ”sebbene la disciplina dell’usufrutto e quella del diritto di abitazione divergano in parte”, in quanto il legislatore ha attribuito all’usufruttuario una posizione giuridica di maggiore ampiezza rispetto a quella assegnata al titolare del diritto di abitazione, “tuttavia la divergenza di valore tra i due diritti non può non tenere conto anche delle peculiarità del bene sul quale viene a costituirsi il diritto di abitazione”.

In considerazione del rilievo che si trattava di un bene “pacificamente destinato a casa coniugale”, della “obiettiva attitudine del bene stesso a soddisfare le esigenze abitative del coniuge superstite”, del fatto che si palesava “del tutto inverosimile che il bene possa essere distratto da tale finalità”, la Suprema Corte giudica “evidente che le utilità ritraibili dall’usufruttuario appaiono sostanzialmente identiche a quelle che può trarre l’abitatore”.

Ne consegue che le differenze di disciplina “non appaiono tali da indurre a ravvisare anche una differente valutazione”.

Si legge nella motivazione della Cassazione, qui di seguito ritrascritta: “Nel caso di specie trattasi di un immobile pacificamente destinato a casa coniugale, e peraltro di una quota indivisa del bene, di talchè, tenuto conto della obiettiva attitudine del bene stesso a soddisfare le esigenze abitative del coniuge superstite, palesandosi del tutto inverosimile che il bene possa essere distratto da tale finalità, considerata anche la circostanza che si tratta di bene ad uso abitativo, risulta evidente che le utilità ritraibili dall’usufruttuario appaiono sostanzialmente identiche a quelle che può trarre l’abitatore, di modo che nel caso in esame, le pur sussistenti differenze di disciplina, non appaiono tali da indurre a ravvisare anche una differente valutazione del diritto dal punto di vista della sua quantificazione economica, risultando quindi non irrazionale e non contestabile la scelta della Corte di Appello di avvalersi dei criteri usati per determinare il valore dell’usufrutto, per pervenire al valore del prelegato spettante alla convenuta”.

Le perplessità suscitate dalla suddetta ordinanza della Suprema Corte
La decisione sopra richiamata lascia assai perplessi.

Anzitutto perché tra la posizione del soggetto che ha l’usufrutto di una casa e la posizione di chi ha il diritto di abitazione corre una rilevante differenza: l’usufruttuario non ha limiti nel suo godimento (fatto salvo il dovere di non alterare la consistenza economica della cosa in usufrutto) e può cedere il suo diritto e dare in locazione il bene che ne è oggetto, mentre l’abitatore non può cedere il suo diritto né dare in locazione il bene e può servirsi della casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.

Inoltre, l’ordinanza de qua non convince anche perché dà per scontato che per la valutazione dell’usufrutto si possa utilizzare il prospetto valevole ai fini dell’imposta di registro (allegato al Dpr 131/1986 – Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta registro).

Orbene, tale prospetto, seppur di grande utilità pratica, non ha fondamento scientifico: non è mai stato reso noto su quali basi sia stato elaborato.

Nel tempo è stato più volte aggiornato solo con criteri matematici senza mai tener conto del prolungamento della vita media.

 

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