Il Tema in discussione: il diritto della minoranza qualificata di una Spa (un terzo del capitale rappresentato nell’assemblea) di chiedere il rinvio dell’assemblea si configura come diritto “pieno” che non può essere vanificato, purché non concretizzi condotte abusive a danno della maggioranza
Il diritto al rinvio dell’assemblea deve essere inquadrato non come un diritto a poter richiedere il rinvio, ma è il diritto di svolgere l’assemblea in data successiva, senza che i soci di maggioranza possano opporsi e senza che l’assemblea, una volta avanzata la richiesta di rinvio, possa assumere alcuna deliberazione al riguardo. Ciò a condizione che – come opportunamente precisato dalla Suprema Corte nella pronuncia qui sotto analizzata – la richiesta formulata dalla minoranza non configuri un’ipotesi di “abuso del diritto”, come tale non meritevole di essere tutelata, neppure (appunto) se collegata all’esercizio del diritto scaturente dall’art. 2374 c.c.

La pronuncia della Corte di Cassazione n. 29792 del 12 Dicembre 2017
In sede di legittimità la società aveva sostenuto che l’articolo 2374 cod. civ., nel prevedere il diritto in capo alla minoranza qualificata di chiedere, dichiarando di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione, il rinvio dell’assemblea, presuppone che il potere di rinvio è esercitabile solo se abbia come finalità il perseguimento dell’interesse protetto, vale a dire la necessità della minoranza di acquisire maggiori informazioni sugli argomenti all’ordine del giorno.

La Cassazione ha affermato, invece, che il diritto dei soci di minoranza di domandare il rinvio dell’assemblea non consiste solo nella facoltà di avanzare un’istanza di rinvio, restando ferma la discrezionalità dell’assemblea nel deliberare al riguardo: invero, si tratta del diritto di ottenere senz’altro che l’adunanza assembleare venga differita in data posteriore, in quanto, se così non si ragionasse, l’obiettivo che il legislatore ha perseguito dettando la norma in questione sarebbe vanificato.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza de qua
In sede di legittimità viene, quindi, validato il pacifico orientamento della giurisprudenza di merito, secondo il quale il diritto al rinvio non è un diritto a poter richiedere il rinvio, ma è il diritto di svolgere l’assemblea in data successiva, senza che i soci di maggioranza possano opporsi e senza che l’assemblea, una volta avanzata la richiesta di rinvio, possa assumere alcuna deliberazione al riguardo.

A fronte della richiesta di rinvio, il presidente dell’assemblea ha dunque il potere-dovere di concederlo, una volta verificate le condizioni stabilite dalla legge affinché la richiesta sia legittima: la provenienza della richiesta dai soci che riuniscono il terzo del capitale rappresentato in assemblea; il fatto che la richiesta di rinvio non sia stata esercitata in precedenza per lo stesso oggetto; e, infine, che sia indicato il motivo per il quale viene presentata.

La Suprema Corte, con un’analisi a 360°, ha peraltro chiarito (ed è una precisazione di estremo rilievo) che anche i soci di minoranza di una società per azioni possono adottare condotte abusive a danno della maggioranza, cioè comportamenti contrastanti con il dovere di buona fede oggettiva e correttezza che costituiscono principi fondamentali del nostro ordinamento, applicabili anche in materia societaria.

L’abuso del diritto deve essere valutato in stretto legame con il dovere di buona fede nell’esecuzione dei contratti.

Trattasi di dovere che, ancorché gravante su entrambe le parti, è più frequentemente riferito, per la verità, ai soci di maggioranza anziché a quelli di minoranza. Sovente, infatti, sono state ritenute invalide delibere nelle quali il diritto di voto è stato esercitato per ledere gli interessi di altri soci ovvero per ottenere un vantaggio ingiusto dei soci di maggioranza a danno di quelli di minoranza.

Ma non può, comunque, escludersi che la condotta illecita sia posta in essere dalla minoranza.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione è giunta ad affermare come, all’esito di un controllo necessariamente successivo, anche i soci di minoranza potrebbero tenere condotte integranti una violazione del divieto di “abuso del diritto” ed ha rilevato che : “l’applicazione del principio sopra evidenziato, attesa la sua portata generale, non può a priori escludersi in relazione al diritto scaturente dall’art. 2374 cod. civ.

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