Approdata in Cassazione la vicenda relativa a un caporalmaggiore che, di ritorno da una missione in Bosnia, è morto per una patologia tumorale: è infatti stato il nesso tra la malattia e l’esposizione all’uranio impoverito utilizzato per i proiettili della missione, quindi è stata decretata come legittima la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari nei confronti del Ministero della Difesa.

La fattispecie
I parenti di un caporalmaggiore dell’Esercito Italiano hanno richiesto i danni per il decesso del loro prossimo congiunto, accusando il Ministero della Difesa di utilizzare proiettili dannosi per la salute dei soldati nella missione in Bosnia degli anni ’90.

Tra il novembre 1998 e aprile 1999, l’uomo aveva «prestato servizio quale pilota di mezzi cingolati». E durante quei mesi, secondo i suoi familiari, egli «ha inalato particelle tossiche prodotte dall’esplosione di proiettili composti da uranio impoverito».

L’ipotesi avanzata dai genitori e dalla sorella del militare – con annessa richiesta di risarcimento nei confronti del Ministero della Difesa – viene ritenuta fondata dai giudici romani, che, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, ritengono responsabile il Ministro. A quest’ultima struttura viene addebitato, in sostanza, di avere omesso «l’adozione di misure di prevenzione, precauzione e sicurezza idonee a ridurre al minimo i rischi per la salute» dei componenti dell’esercito.

E proprio questa omissione è considerata come il passaggio decisivo che ha dato il ‘la’, purtroppo, alla «patologia tumorale» che ha poi provocato la morte del caporalmaggiore.

Il principio di diritto
Il quadro tracciato durante il giudizio di secondo grado viene poi condiviso e confermato dalla Cassazione, secondi i quali, difatti, non è possibile mettere in discussione «la correlazione tra l’esposizione all’uranio impoverito e la patologia tumorale».

A questo proposito, viene ulteriormente chiarito che, alla luce delle relazioni predisposte da alcune Commissioni mediche, è certo «il collegamento causale tra l’attività espletata in missione dal militare e l’evoluzione della patologia, rappresentante la causa primaria del decesso», e, allo stesso tempo, è indiscutibile «il nesso causale tra il comportamento colposo dell’autorità militare (mancata informazione adeguata del personale militare in servizio, mancata pianificazione e valutazione degli elementi di rischio, mancata predisposizione e consegna delle misure di protezione individuale atte almeno a ridurre il rischio) e la patologia» che ha ucciso il caporalmaggiore».

Conclusioni
In base a questi accertamenti, con ordinanza n. 24180 del 2018, i giudici della Cassazione ritengono legittima la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari nei confronti del Ministero della Difesa.

Per quanto riguarda però l’esatto ammontare del danno, i giudici rimandano in Corte di Appello, al fine di valutare correttamente le provvidenze erogate ai genitori del caporalmaggiore.

 

 

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