Legittima la pretesa avanzata dalla madre, dal momento che apparivano lampanti le conseguenze negative derivate dall’errore del medico: il figlio per due anni, a seguito di un test del DNA aveva considerato come padre un uomo con cui, in realtà, non aveva alcun legame di sangue, come poi evidenziato da un secondo test del DNA che ha portato alla luce lo sbaglio del primo.

La fattispecie
Il caso, è presto delineato: un ragazzo chiede ad un medico di effettuare un test del DNA relativo ad una procedura di riconoscimento di paternità e così, il soggetto, per anni, cresce con l’erronea convinzione che un uomo con il quale la madre aveva avuto una relazione, fosse il suo vero padre biologico. Solo un secondo test del DNA ha consentito al ragazzo di scoprire la verità. La madre ed il figlio, allora, davanti alle risultanze del secondo esame di laboratorio, decidono di agire in giudizio al fine di ottenere il risarcimento derivante dall’errore medico compiuto nell’effettuazione del primo test del DNA.

Davanti a questi fatti, i giudici di primo e secondo grado, accolgono la richiesta della madre e del figlio, poiché risultano evidenti le ripercussioni negative provocate dalla disattenzione del medico nell’effettuazione del test del Dna, che aveva identificato erroneamente il padre biologico del ragazzo.

Nonostante tali risultati, la madre decide di presentare ricorso in Cassazione, chiedendo anche il riconoscimento del «danno subito dal figlio» e costituito dalla «perdita del rapporto parentale», perdita arrivata in maniera brusca in occasione dell’effettuazione del secondo test del Dna, che ha finalmente dato l’esito corretto.

Il principio di diritto
In base alla richiesta avanzata dalla madre, i giudice della Cassazione, con sentenza n. 20835/2018, respingono l’ipotesi di un aumento della cifra fissata dai giudici di secondo grado, ma, contemporaneamente,  aggiungono che nel risarcimento accordato, sono inclusi anche i danni da perdita di rapporto parentale.

Conclusioni
Attraverso questa pronuncia, i giudici della Cassazione chiariscono come, in punto di danno da perdita di rapporto parentale, il relativo risarcimento deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi rapporto che abbia una stabile relazione affettiva ed a prescindere, quindi, dal fatto che il legame sia o meno di consanguineità naturale, essendo sufficiente che con la persona danneggiata, vi fosse una relazione di affetto consuetudine di vita e di abitudine.

 

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