La tutela del diritto di sorellanza e fratellanza impone che, quando i genitori si separano, i fratelli e le sorelle devono essere collocati tutti insieme presso lo stesso genitore, salvo che, in alcuni casi, emerga la concreta possibilità che questa regola si scontri con l’interesse di uno o più di loro.

La fattispecie
In un giudizio di separazione, il Tribunale di Roma respingeva le rispettive domande di addebito dei due coniugi e disponeva l’affidamento della figlia minorenne della coppia ai Servizi sociali, stabilendo la sua residenza prevalente presso il padre e prevedendo una regolamentazione delle frequentazioni con la madre, tenuta, peraltro, a versare un contributo mensile per il mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese straordinarie.

In grado di appello, entrambi i coniugi insistevano per l’accoglimento delle rispettive domande di addebito della separazione. La madre, inoltre, chiedeva che fosse disposto l’affidamento condiviso della figlia, con fissazione della sua residenza principale presso di lei, con obbligo del padre di versare un assegno di mantenimento per la figlia. Il padre, di contro, chiedeva che fosse aumentato l’importo del mantenimento della figlia posto dal giudice di primo grado a carico della madre. Il secondo grado di giudizio, accoglieva la domanda dell’uomo, ma avverso tale sentenza, la donna proponeva ricorso per Cassazione.

Il principio di diritto
La donna, nel ricorso presentato, denunciava come la minore non fosse stata ascoltata dal giudice, il quale, non aveva considerato la volontà espressa dalla stessa di abitare con la madre e la sorella.

Il consulente tecnico aveva ritenuto la donna come il genitore maggiormente idoneo alla cura della minore e più attenta ai suoi bisogni e aveva riscontrato un peggioramento delle condizioni della bambina, sostenendo, quindi, la necessità di un tempestivo supporto psicologico alla minore, al fine di scongiurare possibili conseguenze depressive legate alla separazione forzata dalla madre e dalla sorella.

Con riferimento tali motivi, i giudici della Cassazione, con ordinanza n. 12957/2018, affermano che in tema di separazione personale tra coniugi, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento – direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o del personale dei servizi sociali – costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore. Quindi il giudice deve motivare le ragioni per le quali ritiene che il minore infradodicenne non sia capace di discernimento se decide di non disporre l’ascolto e, per quale motivo, ritiene, invece, un ascolto effettuato durante le indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto o demandato a un esperto.

Nel caso in esame era emersa la chiara ed espressa volontà della minore di vivere con la madre e la sorella, con la quale esiste un rapporto affettivo rilevante e di reciproco sostegno. Il consulente tecnico, infatti, aveva ritenuto il legame con la sorella il maggiore riferimento affettivo e stabilizzante per la bambina. Pertanto, ad avviso dei Supremi giudici

Conclusioni
Il punto di vista del minore infradodicenne nelle decisioni che lo riguardano ha un valore estremamente rilevante e ci si può esimere dall’ascolto soltanto qualora, alla luce di una rigorosa verifica, esso risulti contrario all’interesse dello stesso. La decisione sul collocamento della bambina quindi va cassata per consentire alla Corte d’Appello di verificare nuovamente quale sia la residenza più corrispondente ai suoi interessi, partendo dal suo ascolto ed esaminando, poi, il contesto dei due nuclei familiari, l’idoneità genitoriale e l’esigenza di conservare il forte legame di sorellanza.

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