Il Tema in Discussione: può incidere o meno l’adesione del coniuge separato alla voluntary disclosure sull’entità dell’assegno di separazione per la moglie e di quello per il mantenimento dei figli?
La risposta è positiva, nei termini precisati nella pronuncia qui sotto richiamata.

Oggetto di recente esame da parte del Tribunale di Roma è stata, dunque, l’incidenza o meno dell’adesione alla voluntary disclosure da parte del coniuge separato sull’entità dell’assegno di separazione per l’altro coniuge e di quello di mantenimento per i figli.

Vale a dire, nel concreto, se l’emersione di disponibilità economiche in capo ad uno dei due coniugi (in questo caso il marito), non conosciute né conoscibili con l’ordinaria diligenza dalla moglie al momento della separazione consensuale, possano comportare o meno un aumento degli assegni de quibus.

Il decreto del Tribunale di Roma del 16 marzo 2018 (Presidente Mangano – Relatore Velletti)
Il contenzioso in questione scaturisce dalla domanda, presentata dalla moglie, di modificare l’assetto patrimoniale raggiunto con la separazione consensuale.

In primo luogo, i giudici valutano se ricorrano i «giustificati motivi» previsti dall’articolo 156, ultimo comma, del cod. civ., vale a dire «fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa» (così come previsto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione: ex multis con sentenza n. 11488 del 2008).

Nel caso esaminato è emerso dalla CTU che, dopo l’omologa della separazione, il marito ha aderito alla voluntary disclosure, dichiarando l’esistenza di cospicue disponibilità mobiliari e di redditi detenuti all’estero.

Si tratta di elementi che la moglie non era in grado di conoscere con l’ordinaria diligenza al momento della separazione proprio perché erano occultati all’estero, tanto da essere sconosciuti anche alle autorità tributarie.

Va aggiunto, e il Tribunale lo adeguatamente rilevato, che a far emergere la voluntary disclosure è stata, appunto, la CTU osteggiata dal marito chiamato in causa che ha così violato il dovere posto dalla legge a carico dei coniugi di collaborare nella ricostruzione della rispettiva situazione economico reddituale; dovere che va svolto depositando non solo la dichiarazione personale dei redditi ma anche ogni documentazione relativa ai redditi e al patrimonio personale e comune dei medesimi.

Né, tantomeno, ha giovato all’uomo l’avere, nel corso del procedimento, trasferito all’estero la residenza per giustificare la mancata produzione della documentazione fiscale. Il Tribunale osserva infatti che l’iscrizione all’Aire non è determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, «potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici».

Anzi, conclude il Giudice capitolino, le rilevanti disponibilità occultate, insieme con il trasferimento all’estero della residenza, «fanno presumere che il resistente continui a percepire redditi all’estero non dichiarati».

Per questi motivi, il Tribunale ha ritenuto congruo incrementare gli assegni per la moglie e per i figli a carico del marito e ha segnalato la posizione dei coniugi alla Guardia di Finanza, come richiesto dalla legge.

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