Il Tema in Discussione:
Quand’è che può dirsi esistente un vincolo sociale di fatto?

In questo particolare profilo del diritto societario occorre accertare che vi sia, da un lato la messa a disposizione di risorse patrimoniali, dall’altro l’unitaria intenzione di vincolarsi per l’esercizio in comune di un’attività imprenditoriale nell’interesse di tutti.

E tale accertamento deve essere condotto in modo rigoroso, in modo che vi sia un riscontro unitario e sistematico delle prove di tale situazione.

La recente pronuncia della Corte di Appello di Roma sul punto:
La Giurisprudenza di merito in materia di diritto societario è intervenuta di recente con una importante e chiarificatrice pronuncia sul tema in oggetto, sempre molto delicato.

Ci riferiamo al decreto della Corte d’Appello di Roma (decreto del 4 dicembre 2017).

Il caso concreto oggetto di decisione:
La vicenda, nell’ambito del diritto societario, prende avvio dalla domanda proposta dalla curatela del fallimento di un’impresa del settore dolciario di accertamento dell’esistenza di una società di fatto fra essa, un’altra società e tre persone fisiche, e di conseguente estensione a tutti costoro del fallimento in base all’art. 147 della legge fallimentare (regio decreto 267/1942).

Il giudice societario di primo grado respinge le domande rilevando, quanto a una delle persone fisiche, il difetto  totale di prova e, quanto agli altri soggetti, che i singoli elementi indiziari agli atti non erano così gravi, precisi e concordanti da ritenere provata per presunzioni la costituzione di un  fondo comune e l’intenzione di vincolarsi per conseguire risultati patrimoniali comuni nell’esercizio di un’unica attività d’impresa.

La Corte d’Appello, nella presente vertenza di diritto societario, censura il Tribunale per non aver preso in esame tutti gli indizi evidenziati dalla curatela e ritiene raggiunta la prova dell’esercizio unitario di un’attività di impresa da parte di un soggetto terzo costituito dalla società fallita reclamante e da tre dei quattro resistenti.

La Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione:
La decisione della Corte d’Appello di Roma si inserisce in un filone giurisprudenziale arricchito da alcune pronunce di Cassazione (sentenze 1095,10507 e 12120 del 2016). Il principio di fondo, quindi, è ormai consolidato.

E allora perché è importante la sentenza della Corte d’Appello di Roma?:
La sentenza della Corte capitolina è importante ed è degna di nota (soprattutto) per gli spunti nell’esame del quadro indiziario nell’ambito di questo particolare e delicato aspetto del diritto societario.

I giudici, infatti, escludono che il compimento di un singolo e isolato atto, benché diretto a beneficio della società di fatto, sia sufficiente a qualificare l’autore come socio. Rilevano, invece, a tal fine quei comportamenti e quei fatti che siano, nel loro complesso, idonei a rendere manifesta l’intenzione di investire beni o risorse per gestire un’attività diversa e ulteriore rispetto a quella dei singoli soci dell’ente di fatto.

Nel caso esaminato, risultava che i dipendenti della società fallita  fossero stati impiegati per attività a favore dell’altra società coinvolta; che fossero messe in comune fra la società fallita e gli altri soggetti strutture aziendali (macchinari, teglie, forni, carrelli, stampi) e capacità produttiva (operai e spazi) per realizzare un unitario ciclo produttivo; che il marchio fosse intestato a una delle persone fisiche, anche erogatore di garanzie e finanziamenti per favorire l’attività comune  esercitata dalla società di fatto; che i patrimoni delle società coinvolte servissero a finanziare l’unica impresa dolciaria svolta in comune.

Un complesso di circostanze, dunque, che hanno consentito ai giudici di appello di ritenere provata l’esistenza in fatto di una società fra la società fallita e gli altri soggetti coinvolti, con conseguente rinvio al Tribunale affinché estenda il fallimento ai soci di fatto.

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