Ben risentiti.
La responsabilità degli organi gestori e di vigilanza societari è sempre più di attualità nelle pronunce della Suprema Corte.

In tema di giurisdizione: è di questi giorni, infatti, il pronunciamento delle Sezioni Unite [Cass. 24591/2016] secondo cui “le azioni concernenti la nomina o la revoca (ndr. e quindi anche responsabilità) di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il modello del cd. in house providing.” E tali azioni di responsabilità è ora certo le possa promuovere anche il curatore perché al fallimento neppure le società pubbliche, comprese quelle in house, possono sottrarsi [Cass. 3196/2017].

In tema di competenza: è parimenti recente la statuizione che ha chiarito essere idoneo foro facoltativo ai sensi dell’art. 20 c.p.c. anche il luogo in cui è stato posto in essere l’illecito su cui si fonda la domanda e quindi quasi sempre la sede della società e pertanto, in caso di insolvenza, il Tribunale delle Imprese relativo al foro ove è stato dichiarato il fallimento della società [Cass. 17197/2016] ma, salvo che non vi sia coincidenza, giammai quello fallimentare, a nulla rilevando in proposito l’art. 24 LF dipendendo l’azione di responsabilità da eventi/rapporti che si trovano già nel patrimonio dell’impresa al momento dell’apertura della procedura concorsuale e si pongono con questa in relazione di mera occasionalità [Cass. 19340/2016].

In tema di legittimazione: si ode ancora l’eco della decisione con cui gli Ermellini hanno decretato che la legittimazione ex art. 146 LF del  Curatore ricomprende, oltre le azioni ex artt. 2392, 2393 e 2394 c .c., anche quella ex artt. 185 c.p. e 2043 c.c., consentendo così allo stesso di contestare agli amministratori gli effetti pregiudizievoli, almeno per una parte dei creditori, di eventuali pagamenti preferenziali [Cass. 1641/2017]. D’altra parte la Corte si era già “allenata” sul punto, chiarendo una volta per tutte che, pur in difetto di un esplicito riferimento in tema nella normativa codicistica sulle srl (a differenza che in quella delle spa: v. art. 2394 bis c.c.), anche amministratori e sindaci delle srl possono essere senz’altro convenuti per danni dal Curatore, quantomeno sotto l’angolo visuale della violazione dell’art. 2043 c.c. [Cass. 17359/2016].

In tema di responsabilità degli amministratori non operativi…: la ulteriore tematica su cui la Corte di cassazione sta tornando più volte negli ultimi mesi attiene alla posizione degli amministratori privi di delega. Lontani i tempi in cui il dito era pu ntato sulla generale omissione di vigilanza (che odorava di responsabilità oggettiva), il Supremo Collegio ci ribadisce oggi che gli amministratori (non operativi) rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori (operativi) soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari per agire informati [Cass. 17441/2016].
Il principio è stato confermato dalla sostanzialmente coeva Cassazione penale che ha spiegato come la responsabilità per non aver impedito che nella specie si consumasse il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (causa del fallimento della società) ricade sull’amministratore privo di delega solo se viene fornita la dimostrazione che il medesimo fosse al corrente della condotta fraudolenta dei membri del consiglio di amministrazione [Cass. penale  35344/2016].

…ed in tema responsabilità degli amministratori operativi: al contempo la Suprema Corte ha precisato che dopo la riforma societaria del 2003 – ferma sempre l’applicazione della “business judgement rule”, secondo cui le scelte gestorie sono insindacabili a meno che, se valutate “ex ante”, risultino manifestamente avventate ed imprudenti – gli amministratori dotati di deleghe (cd. operativi) rispondono, non già con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell’art. 2392 c.c., bensì in virtù della più rigorosa diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2 c.c. [Cass. 17441/2016].

In tema di onus probandi, prescrizione ed “insufficienza patrimoniale”: il S.C. si è anche preoccupato di ricordarci che l’azione di responsabilità sociale ha natura contrattuale, sicché la società (o il Curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex art. 146 LF) deve allegare le violazi oni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei doveri previsti dal nuovo testo dell’art. 2392 c.c., così come modificato dalla novella del 2003 [Cass. 17441/2016].
Non solo, si è anche premurato di ribadire che “l’azione di responsabilità proposta dai creditori sociali ovvero, in caso di fallimento della società, dal curatore del fallimento, nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società di capitali è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, che inizia a decorrere dal momento in cui il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti e può anche essere anteriore alla data dell’apertura della procedura concorsuale; l’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull’amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione e non può essere assolto mediante la generica deduzione, non confortata da utili elementi di fatto, secondo cui l’insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata già al momento della messa in liquidazione della società, in quanto questo procedimento non è necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali, mentre la perdita integrale del capitale sociale neppure implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale” [Cass. 38/2017].

In tema di quantificazione del danno “generale”…: e lo stesso Collegio, facendo tesoro delle disposizioni  di cui agli artt. 1223, 1225 e 1226 c.c., ha confermato l’insegnamento delle Sezioni Unite 9100/2015, precisando che, con riferimento al problema del danno risarcibile addebitato agli amministratori convenuti nel giudizio di resp onsabilità, “una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio in ragione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore; o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. Ne discende, in termini generali – nel caso di mancato rinvenimento delle scritture contabili che dall’omessa tenuta della contabilità (che pure integra la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori e che è, di per sè, almeno potenzialmente produttiva di un pregiudizio) non può derivare la conseguenza che il pregiudizio stesso si identifichi nella differenza tra il passivo e l’attivo accertati in sede f allimentare. D’altro canto – è stato ancora precisato – il criterio basato sulla nominata differenza può essere bensì utilizzato quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni: ma sempre che il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile, e a condizione che l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo” [Cass. 38/2017].

…ed in tema di danno “particolare”, come nel caso di differenze di magazzino: davvero interessante, quanto da ben considerare, è poi l’ammonimento che il Giudice di legittimità ha dato in tema di divergenze apparentemente inspiegabili sulle quantità di magazzino, allorché ha precisato che la na tura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento, di limitarsi a contestare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto alla giacenze di magazzino, restando a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione nell’esercizio dell’attività di impresa delle merci non rinvenute [Cass. 16952/2016].

In tema di amministratore di fatto e “2497”: deve ricordarsi infine che l’amministratore di fatto rischia davvero molto, e quindi non solo l’azione di responsabilità, allorché svolge contra ius una vera e propria attività d’impresa di direzione e coordinamento di altre società; infatti in tal caso è anche fallibile, pur solo a causa dell’insolvenza derivante dalle obbligazioni risarcitorie conseguenti all’abuso sanzionato dall’art. 2497 c.c. [Cass. 15346/2016], tenuto anche conto che  l’intro duzione della responsabilità di cui all’art. 2497 c.c. non ha eliminato la possibilità di affermare l’esistenza della figura dell’amministratore di fatto e della relativa responsabilità, poiché non è dato ravvisare, in astratto, incompatibilità di situazioni tra la formale esistenza di un gruppo, con conseguente assetto giuridico predisposto per una direzione unitaria, e l’amministrazione di fatto di singole società del gruppo stesso da parte degli holders. Quest’ultima corrisponde infatti ad una situazione di fatto nella quale le funzioni di amministrazione sono svolte, non indirettamente attraverso istruzioni impartite dalla società controllante, bensì direttamente – non diversamente dagli amministratori di diritto – da un soggetto in assenza di una qualsivoglia investitura [Cass.12979/2015].

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Ma il Supremo Collegio non ha dimenticato il concordato preventivo …e la responsabilità anche lì ha trattato, facendolo in un delicato caso di annullamento della procedura concorsuale minore.
In particolare ha chiarito che ai sensi dell’art. 138 LF, richiamato dall’art. 186 LF, presupposto per l’annullamento del concordato preventivo è unicamente l’accertata sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo, che ha indotto i creditori a votare nell’erroneo convincimento della sua insussistenza, mentre a nulla rileva che l’attività sottratta o dissimulata possa eventualmente essere recuperata al di fuori della procedura concordataria (nella specie era stata dissimulata un’importante posta attiva risarcitoria derivante, secondo il Supremo Collegio, dall’azione di responsabilità sociale all’evidenza promuovibile contro l’organo amministrativo in conseguenza di condotte illecite solo successivamente a pprese dal Commissario, in quanto occultate nella procedura concordataria omologata, essendo peraltro irrilevante la possibilità per i creditori sociali di recuperare comunque direttamente tale posta attiva attraverso la diversa azione ex art. 2394 c.c. [Cass. 11395/2016].

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In un contesto così vivace, gli Ermellini non hanno ancora affrontato la problematica della responsabilità di amministratori e sindaci allorché sono posti dinanzi alle scelte concernenti le diverse soluzioni, concorsuali e para, adottabili in caso di impresa in crisi.
Ma nelle Corti minori il “dibattito” s’è già infiammato.
Con quali risultati?
…Alla prossima!

Un cordialissimo saluto
Elena Pasquini, Alessia Gafforio e Antonio Pezzano

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