Il Tema in Discussione: l’atto di conferma di un testamento nullo (e quindi la rinuncia alla sua invalidazione) comporta anche rinuncia alla quota di legittima?
La conferma della disposizione testamentaria affetta da nullità o la volontaria esecuzione di essa (attività che, ai sensi dell’articolo 590  cod. civ., valgono a precludere l’azione per l’invalidità del testamento) non operano rispetto alle disposizioni testamentarie che siano lesive della legittima.

Attenzione, però, alla quota di legittima si può comunque rinunciare anche tacitamente.

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 168 del 5 gennaio 2018
Secondo la Suprema Corte la conferma della disposizione testamentaria affetta da nullità o la volontaria esecuzione di essa (attività che, ai sensi dell’articolo 590  cod. civ., valgono a precludere l’azione per l’invalidità del testamento) non operano rispetto alle disposizioni testamentarie che siano lesive della legittima, in quanto la convalida ha effetto verso le disposizioni testamentarie nulle, quando invece le disposizioni lesive della legittima non sono nulle, ma soltanto soggette all’azione di riduzione: sono, cioè, suscettibili di essere dichiarate inefficaci nei limiti necessari per integrare la quota di legittima.

Pertanto, l’esecuzione volontaria del testamento nullo, se vale a convalidare il testamento, non preclude al legittimario l’azione di riduzione delle disposizioni lesive della legittima, salvo che abbia manifestato (anche solo tacitamente) la volontà di rinunciare pure all’integrazione.

Nel nostro ordinamento vale infatti il principio per cui la rinuncia all’azione di riduzione può derivare anche da un comportamento concludente e cioè risultare da un complesso di elementi concordanti dai quali emerga che l’interessato abbia avuto la consapevolezza dell’esorbitanza della disposizione testamentaria, rispetto ai limiti della porzione disponibile e tuttavia abbia eseguito integralmente la disposizione medesima.

Si legge nella sentenza de qua : “… risulta del tutto inappropriato il richiamo compiuto dalla Corte distrettuale alla previsione di cui all’art. 590 c.c., che non è invocabile, al fine di escludere la tutela dei diritti del legittimario. A tal fine deve richiamarsi la costante giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di affermare che (cfr. Cass. n. 2771/1971) la conferma della disposizione testamentaria o la volontaria esecuzione di essa non opera rispetto alle disposizioni lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all’art. 590 c.c., si riferiscono alle disposizioni testamentarie nulle, mentre tali non sono quelle lesive della legittima, essendo soltanto soggette a riduzione (cioè, suscettibili di essere dichiarate inefficaci nei limiti in cui sia necessario per integrare la quota di riserva). Pertanto, l’esecuzione volontaria di per sé non preclude al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli abbia manifestato anche tacitamente la volontà di rinunziare all’integrazione della legittima, potendosi però desumersi l’esistenza di una rinunzia tacita attraverso un complesso di elementi concordanti da cui emerga che la parte interessata abbia avuto la consapevolezza dell’esorbitanza della disposizione testamentaria dai limiti della porzione disponibile e tuttavia abbia eseguito integralmente la disposizione medesima (in termini si veda anche Cass. n. 8611/1995; Cass. n. 8001/2012).

Deve quindi ribadirsi il principio (cfr. Cass. n. 1373/2009) secondo cui, il diritto, patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione (conf. Cass. n. 20143/2013).

Né, infine, per pretendere la legittima, il legittimario deve previamente rinunciare ai legati disposti a suo favore (ove non si ricada nella fattispecie di cui all’art. 551 cod. civ.)
Anche tale aspetto è affrontato e chiarito bene dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra richiamata.

Con riguardo ai legati che siano stati disposti dal testatore a beneficio del legittimario, questi, qualora intenda agire a tutela del proprio diritto alla legittima, non deve previamente rinunciare a detti legati, in quanto tale regola opera, per espressa previsione legislativa, solo nel caso di legato disposto in sostituzione della legittima (ai sensi dell’articolo 551 cod. civ.) . Nell’ipotesi contraria, e cioè quando i legati non abbiano carattere tacitativo della legittima, il legittimario può trattenere i legati e pretendere il conseguimento della differenza tra quanto già ricevuto per testamento e quanto invece gli è riservato a titolo di quota di legittima.

Afferma ancora la Cassazione : “Nè appare possibile sostenere, come dedotto dai controricorrenti che il legittimario, ove intenda agire a tutela del proprio diritto alla legittima, debba previamente rinunciare ai legati di cui sia stato beneficiato, in quanto tale regola opera per espressa previsione legislativa solo nel caso di legato disposto ex art. 551 c.c., (fattispecie che non ricorre nella vicenda in esame, in quanto i legati disposti in favore dell’attore non avevano carattere tacitativo, accompagnandosi anche alla istituzione di erede per quanto concerneva le attribuzioni dei terreni), ben potendo il legittimario, trattenere i legati già ricevuti, e pretendere solo il conseguimento della differenza tra quanto già ricevuto per testamento (ovvero per effetto di atti di liberalità compiuti in vita dal de cuius) e quanto invece riservatogli dalle norme in tema di successione necessaria.

 

 

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